copio dalla barra di ricerca e incollo sul blocco note almeno una decina di link a settimana che possano essere il là per qualcosa da raccontare qui.
un punto di partenza, da unire insieme agli altri con alcune linee che fanno da voiceover; un’occasione di approfondimento e riflessione sul presente che è anche qualcosa di irrisolvibile; uno spazio libero in cui bombardare di piccoli flash sconnessi la mente fuori da loop quotidiani.
poi arrivo alla fine di ogni settimana lavorativa con l’energia mentale (e fisica, e sociale) al minimo, e affrontare l’esperienza della scrittura, per quanto sia spesso liberatoria, richiede una spinta che mi manca, dispersa tra scroll, pisolini e una bicchiere ogni tanto in mezzo ad altri da me che non siano colleghi.
non so se è la stagione, non so se è la routine, non so se è l’apnea in cui siamo costretti qui in pianura padana per non morire avvelenati di smog, per sicurezza stamattina sono andata a farmi succhiare una decina di provette di sangue alla ricerca delle radici della mia stanchezza. in effetti era da oltre due anni che non facevo gli esami del sangue – lo sguardo di disapprovazione del mio medico di base l’altro giorno mi ha fatto sentire più in colpa di quella volta che in cassa al ristorante non ho detto che si erano dimenticati di battere un piatto –, quindi spero che tra emocromo, tireotropina riflessa e analisi dei trigliceridi emergano risposte rassicuranti e definitive, più delineate e riconoscibili di un “lei è molto stressata”.
e quindi ecco che appena ritorno sulla traccia, quegli spunti puzzano un po’ di vecchio, e mi prende lo sconforto delle occasioni perse e del poco che ho da dire. quindi perché tornare qui? perché fosse posso recuperarmi come ogni altra volta che mi sono persa – e come continuerà a succedere.
lo scorso weekend sono andata al carnevale di ivrea. non era la prima volta che assistevo a questi giorni di follia eporediese, né la prima che li raccontavo, ma stavolta ho fatto tutto senza committenza, per raccontare a modo mio, sui miei canali, senza pretese se non quello di filtrare tutto con i miei occhi e restituire una piccola sintesi. ma soprattutto, è il caso di essere sincera: vivere quel momento dall’interno con un’ottima scusa.
ho seguito la giornata di livio, 50 anni compiuti proprio domenica 11, su un carro a tirare arance da 29, e di sua figlia anita, da pochi mesi maggiorenne e al suo debutto a bordo del carro de “i paladini di sant’ulderico”, uno dei circa 50 coinvolti nella battaglia delle arance tipica del carnevale. non è l’unico aspetto di colore e tradizione, ma è sicuramente quello più noto e scenografico. carri trainati da 2 o 4 cavalli vs. aranceri a piedi a presidiare armati piazze e vie del centro città, mentre le mura dei palazzi sono coperte di reti e teli per salvare le facciate dalla poltiglia e chi viene solo per assistere calza in testa il berretto frigio, rosso, che dovrebbe proteggerlo dai colpi.
ho trovato questa storia familiare molto potente perché è l’esempio di come le tradizioni locali siano in grado di generare un fortissimo senso di appartenenza e diventino qualcosa da tramandare con orgoglio, anche quando sembrerebbe andare contro l’istinto di protezione tipico di molti genitori.
qui il reportage completo, bloccato da tiktok perché ci sono un paio di arance che volano e un altro paio di nasi sanguinanti. pfffff.
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il primo agosto scorso, per il mio compleanno – a voler essere pignoli il 2, giorno in cui ho consumato la festicciola –, un’amica mi ha regalato una bambola dàruma (o dharma): quelle figurine giapponesi portafortuna in cartapesta senza occhi, di cui va disegnato il primo nel momento in cui si fissa un obiettivo o esprime un desiderio, per poi completare anche il secondo una volta che quello si è conseguito/avverato.
sono passati 6 mesi e mezzo, e non ho ancora avuto il coraggio di riempire quel bulbo bianco.
in parte mi dico che ho troppi sogni diversi tra cui è difficile stabilire una priorità, ma poi alla fine provo a essere onesta: non sono sicura di sapere davvero cosa voglio.
o meglio, non sono sicura che tutto quello che voglio sia sufficientemente coerente da poter rimanere insieme, in maniera sostenibile – per una sopravvivenza economica e mentale. spesso bisogna ascoltare la pancia, traino di un tutto il resto che poi andrà cerro rimesso in ordine, ma che non per forza porterà a una spaccatura irricucibile.
la mia predisposizione ad analizzare il rischio (=paura) mi porta spesso a sacrificare le viscere in funzione del mantenimento di uno status quo da cui deriva un rassicurante mix di stabilità e infelicità che in fondo, se solo avessi un po’ di coraggio in più, potrebbero equilibrarsi anche all’inverso. instabilità e felicità. stessa intensità, tipo di stanchezza diversa. ci accontentiamo della prima, smettendo di inseguire la seconda. ci roviniamo la vita così.
se in questo momento tu dovessi affidare un desiderio a questo amuleto, quale sarebbe? è ben chiaro nel tuo pensiero del presente e del futuro, o non lo riesci a mettere a fuoco. oppure ti spaventa e non vuoi nemmeno rischiare di visualizzarlo, perché se davvero si realizzasse dovresti rimettere in discussione tutto?
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cose random
✨ dopo aver visto al cinema past lives, tornando verso casa in bici ho pensato che per me la libertà è non provare sofferenza per la nostalgia;
👟 quando vieni a casa mia e ti chiedo di togliere le scarpe non scazzarti;
🧠 oltre al caso sangiovanni (💔) sempre più temi e termini della salute mentale entrano nelle top canzoni del pop;
🗣️ a proposito: a te è mai capitato di riempire di balle il tuo terapeuta? qui qualche consiglio su come evitare di buttare tempo e soldi;
🏡 come l’AI sta rimodellando la casa dei sogni – io vivrei volentieri qui dentro, lontano dallo smog della pianura padana.
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buon lunedì, buona settimana, buon pm10.